Giugno 2016

«A metà aprile – racconta il dott. Pier Luigi Bertola presidente del C.I.S., ritornato da una settimana a Canelli dall’Africa – è iniziato il viaggio umanitario per portare un’ambulanza all’ospedale di Mangochi in Malawi, un ecografo a quello di Kirundo in Zambia ed infine altro materiale sanitario

 tra cui elettrocardiografo e defibrillatore destinati ad un ospedale congolese. L’aereo atterra all’aeroporto di Dar Es Salaam , fino a pochi anni fa capitale della Tanzania. Siamo in quattro: Padre Kimu che è venuto a prenderci, per portarci nella sua missione in Malawi, Piero ingegnere edile bresciano e vecchio amico di famiglia, Wolfgang ingegnere elettronico di Vienna che vende apparecchiature sanitarie ed il sottoscritto.

 Certo che la compagnia di bandiera Emirates scelta per la sicurezza è senza dubbio una delle migliori. Breve scalo nella fantastica e lussuosa Dubai che ci accoglie con i suoi vertiginosi grattacieli. Puntualissimo padre Joseph ci aspetta all’aeroporto, ma io nel dubbio avevo già chiesto a suore italiane un eventuale passaggio per la missione cui eravamo diretti: le suore canossiane.

Arrivati finalmente alla missione possiamo riposarci perché sull’aereo non abbiamo dormito, inoltre con questo caldo umido dobbiamo farci almeno tre docce al giorno. Comincia qui il nostro viaggio durante il quale saremo sempre ospitati in missioni di preti o suore da me richieste per maggior sicurezza.

Il giorno successivo, al mattino, siamo al porto perché la nave della Messina è arrivata puntuale, ma ci dicono dalla dogana che dovremmo attendere circa 10-12 giorni per lo sdoganamento. Non faccio una piega ma faccio presente che ho urgenza di prendere l’ambulanza, anzi se il responsabile dello sdoganamento Hassan Omari Dinya riesce a darcela entro due giorni gli prometto i ringraziamenti sulla stampa italiana che vedo apprezza molto volentieri. Nel pomeriggio andiamo a prendere all’aeroporto Wolfgang che da impeccabile asburgico scende dall’aereo in doppio petto blu scuro ed al mio sorriso risponde con un italiano storpiato “sono un stupido!”.

Arrivati alla missione, Wolf non perde tempo e ci invita a cena fuori. Riusciamo un po’ a rilassarci. Per fortuna Piero fa subito amicizia con Wolf che trova molto simpatico. Puntualmente padre Joseph al nostro rientro ci avverte che in 48 ore ci consegneranno l’ambulanza, cosa che poi avverrà. Il giorno successivo siamo tutti e quattro invitati a cena dalle Canossiane, sia Piero che Wolf riescono a fare ridere le sorelle raccontando storie amene creando così un clima allegro e cordiale. Il mattino successivo siamo tutti molto eccitati perché dobbiamo andare al porto a ritirare il mezzo. Dopo qualche ora di attesa prendiamo possesso dell’ambulanza. Tutto sommato il grosso del materiale che avevo caricato 25 giorni prima è ancora lì.

Chiedo a Wolf di guidare in uscita dalla caotica città. Qui la guida è a sinistra e dopo due ore di code siamo fuori. Dalla dogana ci avvertono che il registratore che avevano messo sul mezzo indica loro che abbiamo preso un’altra strada. Certo che non ci perdono d’occhio! Un bel temporale riduce la nostra velocità. Ad un posto di blocco dobbiamo pagare una multa perché sostengono che secondo le leggi tanzaniane nell’ambulanza devono rimanere solo due persone davanti e nessuna dietro! All’una e mezza di notte arriviamo dai salesiani di Iringa che ci offrono ancora un buon pasto.

Nella tarda mattinata del giorno successivo riceviamo la telefonata da Fabio di Radio Vallebelbo che ci permette di fare una diretta da quel posto sperduto a due passi dal Malawi. La cosa ci risolleva perché così abbiamo un sia pur breve contatto con chi ci segue a casa. In breve siamo alla frontiera del Malawi dove dobbiamo rimanere per circa sei ore. Pare che non accettino gli euro, dobbiamo fare il visto ma come sempre ci viene in aiuto padre Joseph che risolve la questione. Ad un altro posto di blocco altra multa perché dicono che anche chi occupa i sedili posteriori deve portare le cinture di sicurezza. Verso mezza notte arriviamo a destinazione: la cittadina di Karonga sul lago Malawi. Siamo stanchi e dopo un frugale pasto andiamo subito a letto perché alle cinque dovremmo ripartire.

Il giorno dopo è una bella giornata di sole; attraversiamo una zona di montagna dove si incontrano rare scimmie. Piero si alterna a Wolfgang alla guida. Nella capitale del Malawi siamo ospitati dalle suore carmelitane. Il giorno successivo è il mio turno di guida, il paesaggio è molto suggestivo con molti corsi d’acqua e lunghe file di persone lungo la strada. Pochi chilometri prima della missione di padre Kimu cedo la guida a lui, è a casa sua ed è giusto così.

All’ora di pranzo arriviamo accolti con gioia dalle persone della missione. Siamo stanchi ma soddisfatti. Mi congratulo con tutti per l’ottimo lavoro svolto. Avevo incaricato Piero del fondo comune mentre Wolf aveva il compito di controllare il mezzo. Il giorno prima per un piccola perdita di olio dal motore avevamo dovuto fermarci qualche ora dal meccanico. Anche se siamo stanchi non ci opponiamo all’invito di visitare la missione del padre. Incontriamo anche la piccola Clara cui è stato asportato un occhio per un grave trauma giocando l’anno prima quando aveva 4 anni.

In effetti padre Joseph ha fatto veramente tanto trasformando questo posto, un tempo inospitale, in un paradiso terrestre dove ogni cosa è stata creata per l’accoglienza dei bambini orfani od abbandonati, che anche qui sono tanti! Joseph da ottimo organizzatore ha predisposto un turn over con italiani, in genere bergamaschi, che vengono apposta dall’Italia per lavorare alla missione dove i bambini ricevono un’istruzione ed imparano un lavoro. Il tutto condito da tanto amore. Non bisogna avere una qualifica particolare per venire qui a lavorare per un certo tempo, basta avere un po’ di buona volontà. Vitto e alloggio sono garantiti, ed a giudicare dalla nostra esperienza, tutto il personale del posto è formato molto bene, cuoche incluse.

Al nostro arrivo ci aspetta un’ottima pastasciutta al dente, come si fa in Italia. Conosciamo anche una infermiera milanese che vive qui alla missione da oltre 30 anni e non sente la nostalgia dell’Italia perché lì si trova veramente bene. In serata collegamento in diretta con Radio Veronica di Torino cui ognuno di noi quattro ha potuto partecipare grazie a mio fratello Gian Carlo ed all’impareggiabile speaker Stefania.

Il giorno dopo ci predisponiamo per mettere l’occhio artificiale alla piccola Clara. Non ho dormito la sera prima, anche se ero stanco, perché ero preoccupato su come dovevo applicarlo.

Mia figlia Barbara mi aveva scritto di stare molto attento a non metterle l’occhio storto! La piccola ha seguito il mio consiglio di non muoversi anche se avrebbe sentito un po’ di male. Dopo averglielo messo qualche lacrimuccia è scesa ma la bimba non si è mossa.

Dopo pranzo, visita e consegna dell’ambulanza alle autorità dell’ospedale di Mangochi non molto distante dalla missione. Anche qui, come in altri nosocomi, Wolfgang prende nota dei macchinari non funzionanti per mancanza di un pezzo di ricambio e si impegna per l’eventuale sostituzione, nel caso trovi il pezzo mancante. Durante il breve rinfresco siamo venuti a sapere che anche in quell’ospedale c’era una ragazza 26enne orfana di entrambi i genitori e cieca da un occhio dall’età di 8 anni per grave malattia. L’occhio malato rimaneva rovesciato in sù ed il viso era quindi deturpato. Ho avuto un attimo di incertezza perché alla piccola Clara avevo messo la protesi in un’orbita senza occhio mentre qui il bulbo oculare c’era e non sapevo come regolarmi.

Ho preso tempo spostando l’eventuale impianto di protesi alla mattina successiva. Tornato in missione mi sono messo in contatto con la signora Irene della Oftalmica Iris di Genova che generosamente mi aveva regalato le 4 protesi che servivano alla piccola anche per la crescita fino all’età adulta.

La signora mi ha molto tranquillizzato dicendo che non c’era problema ed anche alla ragazza avrei potuto mettere la protesi adatta alla sua età. Infatti l’applicazione è andata benissimo e la ragazza ha fatto un salto di gioia per la contentezza. Wolf mi ha detto che la sera ha pianto per l’emozione. Sia Piero che Wolf ed un’infermiera locale mi hanno aiutato nel piccolo intervento.

Per rilassarci padre Joseph ci regala una bella giornata trascorsa in riva al lago Malawi dove conosciamo padre Mario un intraprendente prete bergamasco che vive lì da oltre 32 anni ed organizza concerti di musica leggera in tutta Europa per sensibilizzare le persone ai problemi degli ultimi che specie in queste zone sono molto frequenti. Il mattino successivo andiamo con un’infermiera in un villaggio per visitare e rilevare dati antropometrici a bambini seguiti dal centro nutrizionale creato da padre Kimu.

Le tantissime mamme, tutte con il loro piccolo legato sulla schiena, organizzano subito per noi una festa con balli e canti di benvenuto cui ci invitano a partecipare. Non rifiutiamo. Dopo oltre mezz’ora di questa festa, comincia il lavoro. Piero misura la circonferenza del braccino, Wolf pesa i bambini ed io misuro l’altezza scrivendo i dati sulla loro cartella, nei rarissimi casi di denutrizione, integriamo la loro dieta con sacche liofilizzate di un composto di mais, latte in polvere (molto raro da queste parti) e manioca; nei casi più seri si ospita il piccolo con la mamma al centro nutrizionale della missione che segue i casi più impegnativi.

Purtroppo il tempo scorre veloce. Partiamo quindi con pick-up messoci a disposizione da Joseph su cui abbiamo caricato l’ecocardiografo per un ospedale in Zambia, un elettrocardiografo e un defibrillatore destinati ad un ospedale congolese. Purtroppo Wolf ci dice che deve tornare a casa per lavoro e lo accompagniamo quindi a Lilongwe, capitale del Malawi, sulla strada per lo Zambia. Alla frontiera in entrata in Zambia si ripetono gli stessi problemi monetari, qui non accettano i nostri dollari cambiati perché di conio antecedente al 2000.

Dopo un po’ risolviamo il problema e ci fermiamo per la sera a Chipata in una missione di suore di cui non ricordo il nome ma molto simpatiche perché proprio quella sera avevano organizzato una festicciola per una di loro che veniva trasferita in altro posto.

Tutte le sorelle hanno ballato e cantato per raccogliere offerte per la suora che era anche molto carina. La sera dopo arriviamo nella capitale Lusaka, dopo oltre 650 km di viaggio. Siamo alloggiati in un albergo della conferenza episcopale zambiana, non siamo più abituati ad un trattamento simile e ci sentiamo un po’ a disagio.

L’ottimo padre Joseph forse ha voluto dimostrarci che anche in quel posto lì gli africani, se vogliono, sanno fare delle strutture che non hanno nulla da invidiare alle nostre occidentali. La sera successiva il padre ci prenota un alloggiamento, questa volta in stile con il viaggio umanitario presso la Diocesi di Livingstone, a due passi dalle cascate Vittoria sul fiume Zambesi, da noi scelte per non perdere questo incomparabile spettacolo della natura che è veramente superbo e stupendo!

Ripartiamo quindi per l’ultima tappa, l’ospedale di Kirundo in Zambia, ma siamo in ritardo di un giorno e suor Erminia, chirurgo ed energico direttore sanitario della struttura, non manca di rimproverarmelo dolcemente. Dice che aveva già prenotato le visite mediche e gli ecocardiogrammi che dovevo fare. Cerchiamo di non perdere più tempo ed infatti riusciamo a compiere gli oltre 550 km che ci separano in poche ore. Ma c’è un intoppo.

Veniamo fermati ad un posto di blocco della polizia che, senza mezzi termini, ci dice che dobbiamo pagare 90 euro perché l’auto, di provenienza dal Malawi, non è iscritta al PRA dello Zambia. Guardando bene questo poliziotto non più giovane mi accorgo che ha un’avanzata cataratta. Faccio presente che sul pick-up abbiamo un ecocardiografo destinato ad un loro ospedale zambiano; non siamo molto distanti dalla meta e gli dico che se nel pomeriggio ha tempo gli avrei fatto volentieri un esame ecodoppler vascolare di controllo in ospedale. Quando capisce che sono medico mi chiede consigli sul suo stato di salute. Ci saluta cordialmente senza chiedere un euro di multa.

A pranzo siamo a Kirundo; Ci viene incontro una suorina molto giovane che scambio per una consorella; invece è proprio Lei: Suor Erminia! Senza preamboli ci offre per pranzo una frittata, dei fagiolini lessi sconditi ed una mela. La struttura ospedaliera è efficiente e si capisce che è diretta con polso. L‘ordine e la pulizia regnano ovunque, ci sono reparti di medicina, chirurgia, ginecologia, pediatria, un’attrezzata sala operatoria e sala parto con efficiente laboratorio analisi. Al centro un accogliente giardino arricchito da statue di elefanti, giraffe, ippopotami.

Poco fuori è stato realizzato un ampio orfanotrofio che ospita oltre 90 bambini residenti in piccole strutture a forma di fungo, con tetto rigorosamente in paglia, anche qui disegni di fiori ed animali campeggiano sui muri, i bambini si avvicinano a noi senza invadenza, sono allegri, sereni non sembrano aver avuto una triste storia alle spalle. Si sa che gli africani sopportano il dolore e le sofferenze fisico-psichiche in modo molto differente da noi. Sembra che abbiano una soglia di sopportabilità al dolore molto più alta della nostra.

Anche Piero viene coinvolto dall’ambiente, fa sopralluoghi per cercare di risolvere i tanti problemi strutturali dell’ospedale e della costruenda nuova chiesa mentre io passo le poche giornate disponibili a fare visite mediche ed a insegnare ai colleghi l’uso dell’ecocardiografo che abbiamo portato per questo ospedale. Intanto mi telefona il prof. Leon da un ospedale in Congo; dice di non avere ancora ricevuto l’ecg e il defibrillatore che gli avevo promesso. Eppure l’avevo lasciato dalle suore salesiane di Lusaka come convenuto. Cerco di rintracciare le suore salesiane e rispiego loro il tutto. Chi non aveva capito bene cosa doveva fare era una collega dell’ospedale universitario di Lusaka che era stata incaricata di portare questi apparecchi al professore ma evidentemente se l’era presa con calma. Dopo un po’ la dottoressa mi riferisce che è tutto risolto.

Mia moglie Ivana e le figlie Barbara e Sara mi telefonano per avere notizie; siccome non c’era campo non ero riuscito a mettermi in contatto appena arrivato e loro erano in pena.

La camera con bagno che ci ha riservato la direttrice dell’ospedale è poco fuori il nosocomio in riva al fiume Zambesi, la zona è bellissima ed al mattino presto siamo svegliati dalle scimmie che urlano fino a che non le guardiamo arrampicarsi sugli alberi. Piero è tentato di fare un bagno rilassante nel tranquillo fiume, si mette il costume ma viene provvidenzialmente fermato da un pediatra milanese che vive accanto a noi con la sua numerosa famiglia: moglie e sei figli perché proprio lì vicino tempo fa alcuni bambini che giocavano sulla riva sono stati divorati dai coccodrilli!

Qui lavora da 4 mesi Laila, giovane ostetrica milanese, ha una dedizione ed una gentilezza nei confronti dei ricoverati ammirevole. I colleghi che devo seguire per insegnare l’ABC dell’elettrocardiografia ed ecografia si dimostrano attenti ed avidi di imparare. Ora che hanno l’apparecchio dovranno poco per volta acquisire esperienza.

Una sera mi dilungo troppo in ospedale, da queste parti fa sera verso le ore 18. Finisco gli esami e le lezioni alle 19,30, è buio già da un po’, rientro nel nostro alloggiamento ma trovo il cancelletto del retro dell’ospedale chiuso, dovrò uscire dal nosocomio e fare tutto il giro delle mure di cinta, purtroppo non c’è alcuna illuminazione, non si vede il sentiero ma devo continuare a camminare, mi inoltro nel boschetto, Laila ci aveva detto che qualche giorno prima aveva ucciso un serpente velenoso e da allora aveva imparato a rientrare sempre prima del buio. Mi vengono alla mente questi ed altri pensieri del genere, mi metto a correre, sperando di non scivolare ma è proprio quello che mi succede, mi rialzo guardingo, continuo a correre, finalmente vedo la nostra costruzione! Meno male che non mi è successo nulla! Il mattino successivo suor Erminia ci avverte che per andare all’aeroporto, circa 150 km da qui, dobbiamo approfittare dell’auto che trasporta un piccolo all’ospedale di Lusaka. L’ospedale Mtendere di Kirundo lentamente si allontana fra la polvere rossiccia. Verso sera Piero ed io saliamo sull’aereo che ci riporterà in Italia.

Abbiamo senza dubbio fatto un’esperienza umana interessante ed utile. Barbara, Claudio e Luca il figlio di Piero, ci accolgono festosi alla Malpensa. L’Africa, pur essendo un continente povero, ti regala qualche cosa che ti porterai sempre con te.

Ringrazio tutti coloro che ci hanno aiutato anche per questo viaggio ed i giornalisti in particolare che ci hanno permesso di parlare di questi problemi.

Ricordo che in sede di dichiarazione dei redditi la nostra Onlus “Cooperazione italiana solidarietà” può ricevere il 5×1000 che ci permetterà di fare operare in Italia un altro bimbo già da me scelto durante questo viaggio e spero che la onlus di Aosta Ana Moise continui ad aiutarci per questo ennesimo intervento.

Il codice fiscale della nostra onlus è: 91009530055 CIS. Anche quest’anno abbiamo supportato alcuni ospedali africani aiutando finanziariamente tanti centri medici incontrati. Grazie.»